Bene il corso per i nuovi medici di base, ma occorre potenziare tutta la rete sanitaria territoriale

Giudico positivamente il nuovo corso di formazione specifica di medicina generale al quale sono stati ammessi 174 tirocinanti, organizzato dalle Asl Roma 1, Roma 2, Roma 3 e Latina. Si tratta di un passo importante per tanti medici giovani e meno, con i secondi in grado di trasmettere ai primi la loro professionalità nell’erogazione delle cure. I medici di famiglia possono essere il vero anello di congiunzione fra i cittadini/pazienti e le strutture sanitarie. Mi auguro che i corsi organizzati possano rappresentare l’inizio di una svolta da me richiesta, finalizzata al potenziamento della rete sanitaria territoriale. E’ sempre più evidente che bisogna migliorare l’offerta sanitaria. Le nostre Asl danno spesso l’indicazione di recarsi in ospedale solo per le massime urgenze spiegando che esistono anche i medici di base e le strutture ambulatoriali sul territorio dedicate ai codici bianchi. Ma i risultati ad oggi non si sono visti. Non posso non constatare che l’assistenza territoriale è quasi sempre insufficiente, scarsamente capillare e poco conosciuta laddove esiste. Le tanto celebrate Case della salute sono state un flop visto che nessuno sembra neanche prenderle in considerazione. A conti fatti gli ospedali diventano l’unico riferimento per i cittadini. Occorre però ripensare ad un nuovo modello di sanità in grado di privilegiare l’offerta territoriale. I Punti di primo intervento per esempio, rappresentano dei presidi fondamentali, nell’erogazione di servizi di emergenza urgenza e nello svolgere il ruolo di catalizzatori di migliaia di utenze che in loro assenza andrebbero ulteriormente ad intasare i Pronto Soccorso degli ospedali già in costante sovraffollamento. Non possiamo agire senza tenere in considerazione il fatto che senza una valida alternativa chiudere i Ppi significherebbe solo depotenziare ulteriormente la già fragile rete assistenziale territoriale. Ma le carenze non sono finite. Basti pensare ai distretti, dove mancano medici e infermieri e che sembrano quasi ‘svuotati’. Dunque è necessario programmare, individuare le priorità e attuarle, come hanno fatto altre Regioni nelle stesse condizioni del Lazio. L’amministrazione regionale farebbe bene a rimboccarsi le maniche mettendo in conto i fallimenti passati e trovando soluzioni concrete, magari prendendo atto di tutti gli spunti e le proposte che, come opposizione, gli abbiamo fornito, ma sfortunatamente sono cadute nel nulla. Oggi i risultati che si compiono nella sanità del Lazio hanno come protagonisti i medici, gli infermieri e i tecnici, che in assenza di interventi rapidi e di programmazione seria non si sono solo rimboccati le maniche, ma stanno letteralmente facendo i salti mortali per dare adeguata assistenza ai pazienti. Professionisti ai quali va il nostro plauso, perché se oggi si può avere speranza nel futuro è soprattutto grazie a loro

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